Martin Hose: Poesie aus der Schule. Überlegungen zur spätgriechischen Dichtung. München: Verlag der Bayerischen Akademie der Wissenschaften 2004 (Bayerische Akademie der Wissenschaften. Philologisch-Historische Klasse. Sitzungsberichte - Jahrgang 2004, Heft 1). ISBN 3-7696-1625-1 (ISSN 0342-5991). Pp. 37.

Comincio con l'l'affermare che si tratta di un contributo doppiamente apprezzabile: per il contenuto, un dotto schizzo della poesia greca dei secoli IV-VII d.C., e per lo stile, chiaro, essenziale, piacevole. Il che non è di minor conto, se si considera la scarsa conoscenza della produzione in versi del tardoantico - appannaggio, direi, quasi esclusivo di pochi esperti eruditi -, guardata dai colleghi specialisti di Letteratura greca classica come una mummia esangue, talora svalutata od offuscata anche da chi si occupa di Tarda Antichità1. È innegabile, infatti, che pure in questa nostra epoca di ‚esplosione di tardoantico’2‚ uno studio complessivo e dettagliato sulla poesia di questi secoli rappresenti un desideratum quanto mai avvertito. Tale apparente contraddizione trova diverse ragioni dl'essere.

Zunächst” - per riportare il fondato giudizio di Martin Hose - „ist das Corpus der erhaltenen Texte zumal nach altertumswissenschaftlichen Maßstäben riesig‚ es fehlen für viele Texte verläßliche Ausgaben‚ Übersetzung und Kommentare”. Basti pensare‚ per farsi unl'idea‚ alla monumentale produzione poetica di Gregorio di Nazianzo (circa 18.000 versi)‚ per la quale ll'unica edizione di riferimento resta in gran parte ancora quella della Patrologia Graeca del Migne. Del resto‚ anche laddove si disponga‚ per altri autori‚ di edizioni critiche più affidabili‚ si sente comunque ll'esigenza di traduzioni in lingua moderna‚ sì da avvicinare il grande pubblico alla lettura di testi altrimenti sconosciuti‚ e soprattutto di commenti che chiariscano in maniera puntuale e precisa i molteplici risvolti ideologici e letterari del testo edito.

Sodann” - continua lo studioso - „erfordert ein erheblicher Teil des Corpus theologisch-kirchengeschichtliche Kompetenz‚ womit er scheinbar bequem aus dem Aufgabenbereich des Philologen ausgeschieden werden darf”. È difatti del tutto inimmaginabile poter pensare di avvicinare testi quali‚ ad es.‚ la Parafrasi giovannea di Nonno senza alcuna competenza biblica e patristica3. (D'altro canto‚ per restare sul medesimo esempio nonniano‚ sarebbe parimenti molto difficile‚ aggiungo io‚ per chi non vanti una formazione da filologo classico rivolgere le proprie cure alle Dionisiache).

Vi è poi - ancora più che per le età precedenti - una certa tendenza a separare nettamente il mondo greco da quello latino‚ così da non poter arrivare a dominare neppure dall'alto in ampia panoramica un periodo letterario quale il nostro‚ caratterizzato da un intenso scambio tra i due versanti. Mi limito a ricordare l'esempio del poeta Claudiano‚ testimone quanto mai eloquente di tale mutuo rapporto.

Non può‚ però‚ neppure tacersi la preferenza accordata alla coeva produzione in prosa‚ che‚ già avallata dagli antichi‚ ha finito col relegare in secondo piano la produzione in versi‚ considerata piuttosto come un'attività puramente scolastica‚ su cui eserciterebbe tutto il suo peso l'insegnamento della retorica.

Su tale linea si colloca‚ tuttavia‚ anche il contributo di Martin Hose‚ per il quale la poesia greca tardoantica „ist” - in ultima analisi - „ein rhetorisches Verfahren” [36]. Laddove‚ infatti‚ per il versante latino può parlarsi‚ in particolare per la produzione di ambito cristiano‚ di una poesia dal forte impegno esegetico e carica di un elevato potenziale euristico (illuminate è l'esempio di Prudenzio‚ il quale „etwa deutet in seiner komplexen Bildersprache die Botschaft der Evangelien‚ seine Dichtung ‚interpretiert’‚ ist Exegese”)‚ la coeva produzione in greco si collocherebbe sulla scia della tradizione retorica‚ preferendo generi‚ quali l'ekphrasis‚ la parafrasi‚ l'etopea‚ ecc.‚ tipicamente scolastici. Il che avrebbe come corollario una mancanza di creatività‚ se non proprio - è sotto il segno di questo inquietante interrogativo che si chiude il contributo di Martin Hose - una vera e propria „literarische Sterilität”.

Prima di entrare nel merito delle conclusioni dello studioso‚ che non possono trovare‚ a mio avviso‚ una piena e totale condivisione (soprattutto alla luce di importanti documenti poetici curiosamente negletti)‚ conviene passare in rapida rassegna il contenuto del breve lavoro.

Nella prima sezione [8-19]‚ lo studioso rievoca la produzione di contenuto pagano‚ divisa omogeneamente in: 1. Parafrasi di opere in prosa e descrizioni (ekphraseis) in versi di opere d'arte [9-11]; 2. Poemi ed epilli di soggetto mitologico [11-15]; 3. Poesia d'occasione: panegirici in onore di personalità in vista e/o militari‚ epitalami e canti d'anniversario‚ ecc. [15-19]. Non sorprende se il maggior numero di autori censiti provenga dall'Egitto. Specialmente per l'epica‚ infatti‚ in Egitto si assiste ad una vera e propria continuità della produzione‚ soprattutto nella Tebaide e ad Alessandria‚ almeno a partire dal III secolo‚ una continuità che sfocerà nella creazione di un nuovo stile‚ portato a completa codificazione da Nonno di Panopoli nel V secolo4 e impiegato dai poeti ‚nonnini’ fino all'età di Giustiniano5. Del resto‚ che gli Egiziani nutrissero una grande passione per la poesia è provato dalla nota testimonianza di Eunapio (VS 10‚ 7‚ 12 = p. 78‚ 25-27 Giangrande)‚ secondo il quale To\ de\ e¦¢qnoj (sc. degli Egiziani) e)pi£ poihtik me\n sfo//dra mai/nontai.6

La seconda parte [19-25] richiama fugacemente quella produzione poetica‚ „die” - a detta dello studioso - es zu betrachtet gilt‚ indes sich nicht ohne weiteres systematisieren läßt‚ sondern vielmehr den Charakter von Sonderfällen trägt”. Si tratta‚ in altre parole‚ di opere in versi‚ quali la Chrestomathia di Elladio‚ gli Inni di Sinesio e di Proclo‚ la Thaleia di Ario‚ che sfuggirebbero‚ a detta dello studioso‚ ad una chiara definizione di genere o meglio sono prive di paralleli. Non è chiaro‚ ad es.‚ quale fosse l'utilizzazione all'interno della cornice scolastica degli Inni di Sinesio e di Proclo: „Gehörten sie” - si domanda lo studioso - „zu den dort praktizierten theurgischen Riten oder sollten sie zu einer interpretierenden Durchdringung einer die Wahrheit verhüllenden Geschichte (also eine Mythos) anleiten?”. Lo stesso dicasi per la discussa Thaleia. In questo caso‚ infatti‚ non si capisce bene se debba parlarsi di un poema didascalico‚ in cui l'autore esprimeva la propria visione della materia cristologia‚ oppure di una filastrocca facilmente memorizzabile da parte delle masse.

La terza [25-34]‚ infine‚ è interamente consacrata alla poesia di argomento cristiano‚ la cosiddetta „Bibeldichtung”‚ una categoria‚ „die ein Sujet aus den Heiligen Schriften der Bibel [paraphrasisch oder als Cento] in die Form des hexametrischen Epos umsetzt”. Gli esempi più noti ovvero quelli presi in considerazione dallo studioso sono le Parafrasi dedicate ai Salmi dello Ps.-Apollinario e quella giovannea di Nonno Panopolitano‚ ma anche i centoni di Eudocia. Il confronto con la coeva produzione latina ed il constatare la scarsa attestazione del genere sul versante greco spinge lo studioso ad affermare‚ sulla scia di precedenti giudizi critici‚ che la „Bibeldichtung in griechischer Sprache weniger beliebt war” [27]; in particolare‚ in base alla testimonianza dello storico Socrate (3‚ 16‚ 1-7)‚ che essa si sia sviluppata in ritardo rispetto al mondo latino‚ la cui prima attestazione si ha con gli Evangeliorum libri di Giovenco risalenti al 329-330.

Abbiamo già accennato alle conclusioni [34-37]: in esse lo studioso insiste marcatamente sulla differenza tra la produzione in versi latina e greca per sostenere che quest'ultima è priva di potenziale ermeneutico e affatto interessata a creare prodotti nuovi rispetto alla tradizione poetica classica: „für die griechischen Dichter” - scrive Hose - „ging es dagegen seit dem Hellenismus nicht darum‚ Homer zu übertreffen‚ sondern nur um die Frage‚ wie er adäquat nachzuahmen sei” [36]. Si tratta‚ insomma‚ nell'ottica classicistica dello studioso (è lo stesso Hose a definirsi nel suo approccio „als Klassischer Philologe”)‚ di una poesia da e per la scuola.

È evidente che tale conclusione‚ priva com'è di sfumature‚ non può essere accolta in pieno: essa pare‚ infatti‚ viziata da un profondo difetto di base‚ quello‚ in pratica‚ di continuare a considerare la poesia greca del tardoantico guardando piuttosto alla tradizione ed ai modelli cui essa si ispira‚ che non alle sue innovative soluzioni estetiche. Al contrario‚ è proprio sul carattere precipuamente tardoantico di questa produzione che occorre insistere in sede di analisi letteraria‚ „non per sottolineare - mi sia consentito affermare con G. Agosti - un apparente truismo‚ ma per rimarcare la necessità di abbandonare l'ottica classicistica‚ di fronte alla quale questi testi restano penosamente muti”7.

Nessuno discute‚ sia ben chiaro‚ l'elevata formalizzazione che rappresenta la caratteristica costitutiva di tale poesia e talora l'aspetto paradossalmente frenante giocato su di essa dalla tradizione ellenica‚ di Omero in testa‚ e dall'accettazione della paideia classica come elemento formativo insostituibile (in ciò le riflessioni di Hose sono del tutto condivisibili). Non si può‚ tuttavia‚ applicare tout court un'ottica classicistica a prodotti letterari portatori di un'estetica‚ che S. Averincev ha definito ‚antico-bizantina’8‚ e soprattutto il medesimo giudizio per una produzione così varia per qualità‚ contenuto e zone di emanazione.

A tal proposito mi piace ritenere che‚ solo per necessità di spazio‚ Martin Hose abbia volutamente passato sotto silenzio alcune preziose testimonianze poetiche‚ che avrebbero consentito in taluni casi di correggere assunti‚ ormai datati‚ della critica letteraria (quali il presunto ritardo della poesia biblica nel mondo greco‚ l'assenza dell'elemento esegetico‚ la funzione esclusivamente scolastica) ed a sorvolare su un gran numero di contributi critico-bibliografici di rilevante interesse per il soggetto trattato9.

Non si spiegherebbe altrimenti‚ per fare solo un esempio tra i più significativi‚ l'assenza‚ in un quadro letterario consacrato alla poesia greca di età tarda‚ dei poemi del cosiddetto Codice delle Visioni (P.Bodmer 29-37)‚ che‚ pubblicato fra il 1984 ed il 199910‚ rappresenta uno dei più rilevanti apporti della papirologia letteraria per la conoscenza e lo studio della poesia greca dell'epoca. Si tratta‚ come ben si sa‚ di un'ampia raccolta di testi poetici cristiani‚ rappresentativi di quasi tutti i generi letterari praticati nel tardoantico‚ indirizzata in primis alla comunità ‚quasi-monastica’ in cui essa è nata‚ ma anche ai pagani colti dell'Egitto all'inizio del IV secolo‚ in una vera e propria missione evangelizzatrice.

Senza entrare nel merito di tutte le problematiche storiche e letterarie che la pubblicazione del Codice delle Visioni ha innescato11‚ basti ricordare che con esso si è venuto delineando un nuovo quadro storico-letterario‚ che ha permesso di colmare il vuoto documentario che esisteva nella poesia cristiana fra la sua fase iniziale‚ ellenistico-giudaizzante‚ e quelle‚ assai matura‚ dell'imponente opera versificatoria di Gregorio Nazianzeno. In particolare‚ la pubblicazione del Codice ha fornito la prova che già nella prima parte del IV secolo si era costituita una tradizione di poesia cristiana elevata‚ avviata sulla strada della creazione di un linguaggio nuovo e dell'impiego dei vari generi letterari. Soprattutto‚ la presenza nel codice Bodmer di tre parafrasi bibliche (di episodi veterotestamentari!) mostra che anche nell'Oriente greco si era sperimentato uno dei generi più peculiari della produzione cristiana‚ la poesia biblica‚ pressoché contemporaneamente all'Occidente latino: è‚ dunque‚ cancellato quel che appare anche a Martin Hose come un inspiegabile ritardo culturale ed è colmato lo iato fra i pochi esempi di Gregorio di Nazianzo e i poemi del V secolo‚ quali la Parafrasi di Nonno‚ la Metafrasi del Salterio‚ le Metafrasi dell'Ottateuco e di Zaccaria e Daniele (perdute)‚ di Eudocia e dei Centoni omerici.

La lettura dei poemi del Codice Bodmer dimostra‚ inoltre‚ come in essi non fosse assente una certa consapevolezza poetologica‚ che‚ dinanzi al problema chiave della nascente poesia cristina‚ quello‚ cioè‚ richiamato dallo stesso Hose [20-21]‚ se sia lecito o meno per un poeta cristiano dedicarsi ad un'attività fortemente implicata con la cultura pagana tradizionale e per questo fortemente osteggiata da parte degli ambienti costantinopolitani (si consideri il carme In silentium ieiunii [II‚ 1. 34a‚ 71-92 = PG 37‚ 1312-1314] di Gregorio Nazianzeno‚ in cui ai versificatori cristiani è proscritta l'imitazione pedissequa di Omero e la pratica in genere della poesia mitologica)‚ opera una netta scelta di campo‚ insistendo soprattutto su tematiche morali‚ sull'esortazione a sopportare le sofferenze in vista della ricompensa ultraterrena‚ sull'elogio del Padre e del Figlio (tematiche‚ invero‚ già presenti nell'innologia popolare: vedi i fr. 45‚ 2 e 45‚ 3 Heitsch)‚ e contribuendo tramite lo strumento esegetico (proprio quello messo in dubbio da Hose) a diffondere tra i pagani colti d'Egitto il messaggio cristiano.

Lo spazio ristretto di una recensione (soprattutto se si considera la breve estensione del lavoro di cui ci stiamo occupando) non concede‚ evidentemente‚ di entrare nel merito di altre numerose questioni‚ ora minime (il considerare la produzione innologica di Proclo e di Sinesio o la Chrestomathia di Elladio come non definibili in rapporto al soggetto trattato o privi di paralleli)‚ ora invece di portata più generale (il ridurre il problema dell'identità culturale greca in età tardoantica ad un agone letterario‚ ispirato dal modello omerico12)‚ che pure meriterebbero un'attenta discussione e‚ a mio avviso‚ una risposta differente.

Mi sia consentito piuttosto ribadire il mio positivo giudizio‚ pur alla luce dei rilievi sopra esposti‚ del contributo di Martin Hose‚ che si raccomanda al pubblico per l'interesse dell'argomento trattato‚ la sintesi della materia e l'accuratezza formale. Soprattutto esso‚ nel richiamare con pertinenza l'attenzione dei lettori verso la produzione poetica dei secoli tardi‚ sarà di sicuro stimolo per future e più approfondite ricerche.

Eugenio Amato‚ Fribourg (Svizzera)
Eugenio.Amato@unifr.ch


1 Si veda‚ ad es.‚ l'importante contributo di G. Dorival: Existe t'il une recherche proprement littéraire dans le domaine de l'antiquité tardive?‚ in: Topoi 4‚ 1994‚ 651-669‚ che pare non prendere affatto in considerazione la produzione in versi.

2 L'espressione‚ quanto mai efficace‚ è di A. Giardina: Esplosione di tardoantico‚ in: Studi Storici 40‚ 1990‚ 157-180.

3 Lo dimostrano‚ credo‚ ottimamente le recenti edizioni critiche‚ con traduzione e commento‚ dei singoli canti a cura di E. Livrea (Napoli 1989; Bologna 2000)‚ D. Accorinti (Pisa 1996)‚ C. De Stefani (Bologna 2002)‚ G. Agosti (Firenze 2003)‚ G. Greco (Alessandria 2004).

4 Cf. M. Whitby: From Moschus to Nonnus: the Evolution of the Nonnian Style‚ in: Studies in the Dionysiaca of Nonnus. Cambridge 1994‚ 99-155.

5 Vedi a tal proposito F. Gonnelli: Nonno di Panopoli. Le Dionisiache. Canti XIII-XXIV. Milano 2003‚ 7-8.

6 Sul valore e la portata della testimonianza‚ vedi Al. Cameron: Wandering Poets: a Literary Movement in Byzantine Egypt‚ in: Historia 14‚ 1965‚ 470-509: 491; L. Cracco Ruggini: Sofisti greci nell'impero romano‚ in: Athenaeum 49‚ 1971‚ 402-425: 418 e‚ in particolare‚ G. Agosti: La voce dei libri: dimensioni performative dell'epica greca tardoantica‚ in: E. Amato avec le concours de A. Roduit et M. Steinrück‚ Approches de la Troisième sophistique. Hommages à Jacques Schamp. Bruxelles 2005‚ I‚ 33-60: 35 (in bozze).

7 Cf. G. Agosti: Considerazioni preliminari sui generi letterari dei poemi del Codice Bodmer‚ in: Aegyptus 81‚ 2001‚ 185-217: 186.

8 Vedi S. Averincev: L'anima e lo specchio. L'universo della poetica bizantina. Trad. it. Bologna 1988.

9 Mi limito a segnalare gli importanti lavori di G. Agosti (L'epica biblica nella tarda antichità greca. Autori e lettori nel IV e V secolo‚ in: F. Stella [ed.]‚ La scrittura infinita. Bibbia e poesia in età medioevale e umanistica. Firenze 2001‚ 67-104; Late Antique Iambics and iambikè idéa‚ in: A. Aloni‚ A. Barchiesi‚ A. Cavarzere [edd.]‚ Iambic Ideas. Essays on a Poetic Tradition from Archaic Greece to the Late Roman Empire. Lanham/Boulder/New York/London 2001‚ 217-254; I poemetti del codice Bodmer e il loro ruolo nella storia della poesia tardoantica‚ in: A. Hurst‚ J. Rudhardt [edd.]‚ Le Codex des Visions. Genève 2002‚ 73-114; Considerazioni [come a n. 7]; cf. anche G. Agosti - F. Gonnelli: Materiali per la storia dell'esametro nei poeti cristiani greci‚ in: M. Fantuzzi‚ R. Pretagostini [edd.]‚ Struttura e storia dell'esametro greco‚ I. Roma 1995‚ 289-434)‚ dai quali è possibile ricavare ulteriore bibliografia.

10 Cf. Papyrus Bodmer XXIX. Vision de Dorothéos. Édité avec une introduction‚ une traduction et des notes par A. Hurst‚ O. Reverdin‚ J. Rudhardt. En appendice : Description et datation du Codex des Visions par R. Kasser et G. Cavallo. Cologny - Genève 1984; A. H. M. Kessels - P. W. Van der Horts‚ The Vision of Dorotheus (Pap. Bodmer 29)‚ in : VChr 41‚ 1987‚ 313-359; Papyri Bodmer XXX-XXXVII. ”Codex des Visions”. Poèmes divers. Édités avec une introduction générale‚ des traductions et des notes par A. Hurst et J. Rudhardt. München 1999.

11 Per un punto sulla letteratura‚ vedi Agosti‚ Considerazioni (come n. 7)‚ in part. 196 n. 2.

12 „Die griechische Welt” - scrive M. Hose - „mußte daher‚ wollte sie sich als Einheit begreifen‚ davon absehen‚ den kardinalen Referenztext im literarischen Agon zur Disposition zu stellen” (37).


PDF-Version ¦ ¦ Inhalt Plekos 7‚2005 HTML ¦ ¦ Inhalt Plekos 7‚2005 PDF ¦ ¦ Startseite Plekos