Claudio Moreschini: C. van Liefferinge: La Théurgie des Oracles Chaldaiques

C. van Liefferinge: La Théurgie des Oracles Chaldaiques à Proclus. Liège: Centre Internationale d’étude de la Religion Grecque Antique 1999 (Kernos, Supplément 9). pp. 319


Questo che stiamo esaminando è uno studio complessivo sul fenomeno della teurgia, che finora era mancato, essendo l’attenzione degli studiosi incentrata soprattutto sui fenomeni singoli, rappresentati dagli Oracula Chaldaica, dal de mysteriis di Giamblico, dalle opere di Proclo. Uno studio complessivo, abbiamo detto, anche se qualche momento di sporadicità sembra caratterizzare anche quello della van Liefferinge.

L’intento della autrice è di vedere nel suo complesso la storia di questa manifestazione culturale che sta al limite tra la filosofia e la religione e che si impose nella tarda antichità in parallelo al neoplatonismo più propriamente filosofico cioè razionalistico, fino a confluire in esso, dopo che era stata evitata da Plotino. Il problema che la studiosa si pone è, quindi, il seguente: su che piano può (o deve) essere collocata la teurgia? Deve essere intesa come una espressione di irrazionalismo, o come un aspetto della evoluzione del pensiero tardoantico? Ancora, si tratta di una manifestazione di sentimento religioso o di una istanza filosofica rivolta al problema del divino? È evidente che queste distinzioni, se intese in modo rigido, non solamente ci precludono la interpretazione della teurgia tardoantica, ma anche sono inaccettabili.

Secondo la van Liefferinge, la teurgia deve essere intesa come l’attività suprema dell’uomo colto, che mette in opera, tra le facoltà umane, più che l’intelletto, qualcosa di più elevato, per cui egli riesce a raggiungere una relazione privilegiata con gli dèi, la quale (ed essa soltanto) può condurre gli uomini all’unione con il divino. Tale condizione in cui culmina la facoltà umana si basa, a sua volta, sulla conoscenza di simboli divini ineffabili, trasmessi agli uomini dagli dèi stessi, i quali, di conseguenza, risultano essere i vari artefici, i veri attori dell’ascesa religiosa. In quanto tale, la teurgia è un simbolismo attivo. Di conseguenza bisogna riconsiderare il significato attribuito tradizionalmente ai termini di ‘teurgia’ e di ‘teurgo’. La teurgia è una azione degli dèi sul teurgo e non del teurgo sugli dèi, a differenza di quanto ritengono coloro che confondono magia e teurgia. Quest’ultima, pertanto, non rappresenta una forma popolare di religione, ma ricorre a certi strumenti tradizionali del culto greco, quali erano già stati approvati da Platone nelle Leggi, e precisamente la preghiera, il sacrificio e la mantica. Tutte queste componenti del rito ricevono da Giamblico la loro giustificazione nell’ambito della propria filosofia e, soprattutto, nell’ambito della difesa del paganesimo di fronte alla minaccia del cristianesimo che si stava imponendo. Caratteristica di questa concezione filosofico-religiosa è il synthema, cioè il simbolo, che è stato trasmesso all’uomo dagli stessi dèi e quindi è di origine divina: esso si configura sia come la parola specifica che l’anima deve rammentare per parlare con gli dèi sia come l’atto del culto medesimo. La preghiera, il sacrificio e la mantica diventano allora anch’essi non più delle azioni umane, ma degli atti simbolici di origine e di natura divina, conosciuti solamente dai teurgi, che li mettono in opera grazie alla forza soprannaturale che si è riversata sull’intelletto. La teurgia è, quindi, una esperienza religiosa, che dura tutta la vita, non un momento passeggero, come era stata per l’autore degli Oracula Chaldaica. Giamblico istituisce una gerarchia negli atti di culto, i quali costituiscono, per così dire, le tappe che conducono al vertice della esperienza religiosa. I riti hanno, per lui, lo status dei misteri. Il sacerdote è un iniziatore ai misteri ed il fedele deve essere puro allo stesso modo dell’iniziato. La studiosa sente la giusta esigenza di mettere in accordo la dottrina del de mysteriis giamblicheo con la tradizione del pensiero greco, e lo vede nell’unione dei due concetti di trascendenza ed immanenza, nella concezione dell’esistenza di una simpatia universale, di una gerarchia tra esseri superiori ed esseri inferiori, di una provvidenza. Questa impostazione del problema è certamente valida, anche se un po’ unilaterale, perché risolve la teurgia nella storia della religione ellenica, e le tappe di questa storia non sono molto approfondite dalla studiosa; meno facilmente percepibile, e meno sottolineata, è anche l’esigenza di collegare la dottrina teurgica con il complesso della filosofia di Giamblico.

La van Liefferinge, inoltre, ritiene che Giamblico, molto più che gli Oracula Chaldaica e Porfirio, debba essere considerato il vero teorizzatore della teurgia. Il de mysteriis (sul quale non vi è nessun motivo che ne impedisca la attribuzione a Giamblico stesso) rappresenta, infatti, il primo vero trattato di teurgia; il filosofo di Calcide ne sarebbe stato il vero valorizzatore, colui che la avrebbe introdotta nel neoplatonismo, non Porfirio, come generalmente si ritiene. Ma che significa ‘introdurre la teurgia nel neoplatonismo’? Significa attribuire ad essa uno status tale da ottenere, da parte dei neoplatonici, il riconoscimento della sua validità, e Giamblico, con la sua autorevolezza, che si imponeva ancora ai tempi di Damascio, fu il neoplatonico che poté eseguire nel modo più adeguato questa operazione cultuale. Dopo di lui, come osserva la studiosa con una indagine che prende in considerazione soprattutto l’imperatore Giuliano, la teurgia fu riconosciuta come legittima all’interno del neoplatonismo. A questo punto era opportuno, però, che la studiosa desse almeno a grandi linee non una ‘storia’ del neoplatonismo, ma che spiegasse le ragioni per cui una certa corrente di esso (cioè quella rappresentata da Giamblico e dalla scuola siriaca fino ai tempi di Giuliano), e non altre, fossero interessate alla teurgia, essendo il concetto di ‘neoplatonismo’ troppo generico.

In ogni caso la teurgia, con Giamblico, non è una manifestazione di irrazionalismo affine alla magia, ma è, in sostanza, la vera e propria religione ellenica: essa per molti aspetti ha attinenza con la storia del pensiero platonico precedente, con alcune caratteristiche sue tipiche nella età imperiale: la attenzione per la demonologia, l’importanza attribuita alla preghiera, l’interesse per i sacrifici e per i riti. La teurgia, quindi, non sorse dal nulla, ma si inserì in una vasta corrente che voleva subordinare la filosofia alla religione e di cui Plutarco fu un notevole rappresentante. Il filosofo di Cheronea elabora il tipo del theios anér, il quale, grazie al rapporto privilegiato con la divinità, prefigura il teurgo. Tutto ciò, osserva giustamente la van Liefferinge, non è estraneo alla cultura greca; più incerto sarei se rifiutare del tutto, a questo proposito, i concetti, presunti non greci (intendiamo dire, ritenuti estranei alla cultura greca), quali l’orientalismo o, comunque, la magia. È vero, come già abbiamo notato, che Giamblico, diversamente da quanto comunemente si ritiene, non attribuisce al teurgo un potere sugli dèi, ma ritiene che egli possa ‘agire’ solamente in accordo con essi: tutto questo è, quindi, estraneo completamente alla magia, la quale, invece, come si riteneva fin dai tempi del presocratico trattato de morbo sacro (cf. I, p. 591 Kuhn), attribuito a Ippocrate (e come anche veniva ripetuto comunemente) aveva la possibilità di ‘costringere’ gli dèi al volere del mago; ma è anche vero che la religione greca si stava trasformando nel corso della tarda antichità, e contrapporre la grecità al ‘mondo orientale’ è un po’ troppo schematico; proprio nell’epoca di Giamblico la magia era considerata distinta dalla religione, ed il motivo del contendere tra Giamblico e Porfirio era proprio se attribuire la teurgia all’una o all’altra.

Strutturando la teurgia in forma di religione, Giamblico può replicare al cristianesimo che si stava imponendo, come si diceva, e manifestare la sua professione di intellettuale fedele al paganesimo tradizionale, anche se riferimenti espliciti al cristianesimo mancano totalmente nel de mysteriis, e Giamblico non è noto quanto Porfirio per essere stato nemico dei Cristiani. Ma il culto pagano stava diventando sempre più minoritario ed isolato all’epoca di Giamblico, e la difficoltà di questo momento si percepisce proprio dalla difesa appassionata e sottile che incontriamo nell’opera dedicata ai misteri pagani.

Da qui si spiega anche il tentativo di recupero del culto teurgico da parte di un intellettuale come Giuliano, del quale è ben nota l’ammirazione per il filosofo di Calcide: il de mysteriis poteva benissimo inserirsi nella concezione restauratrice del culto pagano, propugnata dall’imperatore. La adesione alla teurgia non deve essere intesa, perciò, nemmeno in Giuliano, come una manifestazione di irrazionalismo: la sua iniziazione non fu una esperienza di necromanzia, perché essa non fu descritta così da nessuna fonte antica, bensì viene ricavata solamente da quanto ci dice uno scrittore prevenuto nei confronti di Giuliano, vale a dire Gregorio Nazianzeno, che ci narra tale esperienza in una delle sue invettive contro Giuliano (orazione IV).

Non facilmente dimostrabile, tuttavia, è l’assunto della van Liefferinge che gli autori degli Oracula Chaldaica, presso i quali si trova per la prima volta la parola ‘teurgo’, avessero interesse ad una forma ‘esoterica’ di religione, e che quegli oracoli fossero i testi sacri di una setta che operava all’epoca di Marco Aurelio. Il contenuto di tali oracoli (per i quali la teurgia dovrebbe costituire il mezzo per garantire la salvezza dell’anima, che, creata dal primo dio, è stata inviata sulla terra e deve liberarsi dalla schiavitù della materia) è fortemente influenzato dal pensiero medioplatonico e neopitagorico, ma non sarei così pronto ad asserire che in essi la teurgia non abbia un forte peso (questo significherebbe confutare l’interpretazione di Lewy), anche se (magari anche a causa dello stato frammentario in cui ci sono pervenuti) questi Oracula non descrivono nessun rituale teurgico. I testi oracolari presentano delle invocazioni al dio, allo scopo di procurarne l’apparizione davanti al medium o in lui stesso. Ma in ogni caso, queste invocazioni non hanno niente a che fare con la magia, bensì rappresentano l’esigenza di comunicare con la divinità. L’anima, armata delle virtù teurgiche (fede, amore e verità), riesce ad afferrare in modo soprannaturale il divino, non mediante l’intelletto, ma mediante ‘il fiore dell’intelletto’.

Così costituita e indirizzata ad una élite, la teurgia sarebbe stata destinata a scomparire, se non fosse stata per merito di Giamblico, il quale la recuperò e la inserì a pieno titolo nella storia del neoplatonismo, dai suoi tempi a quelli di Proclo.

Porfirio è ritenuto per communis opinio colui che avrebbe introdotto gli Oracula Chaldaica nel neoplatonismo. A tal proposito la van Liefferinge dissente. Non è contestabile, ella osserva, la conoscenza che Porfirio ebbe di quei testi, che egli avrebbe, de resto, commentato, ma il termine di ‘teurgo’ si trova solo nelle citazioni tarde, quelle eseguite da Agostino (Civ. Dei X), il quale le avrebbe tratte dal De regressu animae, un’opera che (non è un caso) è ricordata solo da Agostino. Comunque, anche per Porfirio la teurgia non può più essere considerata come la pratica di una oscura setta religiosa, perché Porfirio le attribuisce il significato, molto più ampio, di ‘rito pagano’, tanto è vero che Agostino si compiace di sottolineare lo scetticismo dello stesso Porfirio circa la possibilità della teurgia di assicurare la salvezza dell’anima. Il De regressu animae, testimonianza di questo atteggiamento scettico di Porfirio, si inserirebbe nella sua evoluzione intellettuale, nel senso che nelle sue opere della giovinezza egli non conosceva ancora gli Oracula, ma in seguito egli manifestò il suo attaccamento al culto pagano con un percorso che preannunciava quello di Giamblico, intendendo il culto pagano come una ‘teosofia pratica’ di origine divina. Questa fase del pensiero di Porfirio, segnata dal voler render conto dei miti mediante l’esegesi allegorica, è seguita da un periodo di dubbio, manifestato dalla Lettera ad Anebo, alla quale Giamblico risponde con il De mysteriis, attribuendo, come si è detto, nel suo trattato, alla teurgia una funzione molto più ampia, perché la applica a tutto il complesso del rito pagano, che risulta essere un’opera degli dèi. Il De mysteriis si colloca, quindi, tra il primo soggiorno di Porfirio a Roma (263-268) e la sua morte nel 304. La risposta di Giamblico non sembra aver convinto Porfirio, il quale nelle sue ultime opere, cioè la Epistula ad Marcellam, concepisce una forma di religione più vicina a quella ascetica e ridotta all’essenziale, di Plotino, che non a quella vasta e dettagliata di Giamblico. È assolutamente evidente, conclude più volte la van Liefferinge, che Porfirio non fu il personaggio chiave del recupero della teurgia da parte dei neoplatonici. Tale momento fu costituito dall’opera di Giamblico.

Il medesimo intento di Giamblico è rivissuto, in fondo, da Proclo, del quale conosciamo l’ammirazione per il filosofo di Calcide. Anche Proclo si muove nel tentativo di recuperare gli antichi miti greci, soprattutto nell’ambito religioso, e per questo scopo egli ricorre alla teurgia: pertanto Proclo istituisce un collegamento tra gli Oracula Chaldaica, da lui ritenuti depositari della verità religiosa, con le grandi figure della tradizione greca, soprattutto Omero e Platone. La teurgia degli Oracula serve a fornire un sostegno alla sua ‘teologia platonica’.

In conclusione, il lavoro della van Liefferinge appare ben condotto e intelligentemente scava nella interpretazione dei testi, ma sembra meno approfondito nella ricostruzione della età tardoantica. Accanto al neoplatonismo e agli Oracula Chaldaica, con la quale l’autrice si confronta in modo quasi esclusivo, esistevano momenti di pensiero che noi non chiameremmo certo ‘filosofici’, ma che, nella loro genericità (magari anche superficialità), ci danno l’idea della mentalità dell’epoca, all’interno della quale il neoplatonismo costituisce solamente una componente, per quanto significativa - ma sul piano filosofico. Lo studio sembra un po’ vincolato, nella sua struttura, alla interpretazione di certi ‘momenti’ della storia della teurgia, per cui si ha talora l’impressione che proceda attraverso l’esame di figure isolate l’una dall’altra (tranne che nel caso dei rapporti tra Porfirio e Giamblico).

La tematica scelta è senza dubbio avvincente, e la sua importanza sarebbe apparsa in una luce ancora più chiara se la studiosa avesse gettato uno sguardo sulla rinascita del De mysteriis giamblicheo nel corso del Rinascimento e sul recupero che ne fece Marsilio Ficino. Ma questo è un altro problema, che potrà essere, se mai, affrontato da altri, se l’autrice non vorrà ampliare il tema da lei trattato in questo volume.

Claudio Moreschini, Pisa
moreschini@flcl.unipi.it

Zusammenfassung
Die Theurgie steht an der Grenze zwischen Philosophie und Religion und setzte sich in der Spätantike parallel zum philosophischen Neuplatonismus durch. Sie muß verstanden werden als die höchste Aktivität des gelehrten Menschen und als ein Mittel, eine privilegierte Beziehung zu den Göttern zu erreichen. Daher ist die Theurgie keine der Magie ähnliche Form von Irrationalismus, sondern sie stellt vielmehr die eigentliche hellenische Religion dar. Die Voraussetzungen der theurgischen Rituale lassen sich im Denken Platons und Plutarchs aufspüren. In den Oracula Chaldaica findet sich die erste bekannte Bezeugung der Theurgie; es war aber Jamblich und nicht Porphyrios, durch den die Theurgie in den Neuplatonismus eingeführt wurde. Im Rahmen der Wiederherstellung des heidnischen Kultes folgte ihm Iulianus. Auch bei Proklos findet sich die gleiche Absicht wie bei Jamblich, weil er versucht, die Mythologie wieder lebendig werden zu lassen; zu diesem Zweck wendete er sich der Theurgie zu. So erklärt sich die von Proklos herstellte Beziehung zwischen den Oracula Chaldaica, die für ihn die religiöse Wahrheit enthalten, und den großen Gestalten der griechischen Tradition, vor allen Homer und Platon. Die Theurgie der Oracula unterstützt seine „platonischen Theologie“.


PDF-Version ¦ ¦ Inhalt Plekos 6,2004 HTML ¦ ¦ Inhalt Plekos 6,2004 PDF ¦ ¦ Startseite Plekos