Due orazioni di Massimo di Tiro (Diss. 4. 10 Trapp):
Traduzione con testo a fronte e commentario a cura di Maurizio Grimaldi. Napoli:
Bibliopolis 2002 (Hellenica et Byzantina Neapolitana, XX), 155 p. Euro 25,82. ISBN
88-7088-406-6.
Tra gli scrittori della Seconda Sofistica Massimo Tirio occupa
un posto particolare, dal momento che di questo retore-filosofo delletà di Commodo,
a fronte delle poche notizie cronologiche e biografiche che testimoniano la minore fama
rispetto ad altri autori più importanti, ma la cui opera non è sopravvissuta affatto
oppure solo in minima parte, sono rimaste ben 41 Diale/ceij,
gradevoli esercitazioni di stampo sofistico, basate per lo più su argomenti desunti dalla
filosofia popolare o dalla critica letteraria, che mostrano le qualità retoriche del
sofista e la sua propensione verso la filosofia platonica, senza che possa parlarsi di un
filosofo di professione.
A due di esse, la 4 (Qui aptius de dis
tractaverint, poetae an philosophi) e la 10 (An scire sit reminisci), dedicate
rispettivamente al tema della superiorità o meno della verità filosofica sulla parola
poetica ed a quello, apertamente platonico, del rapporto tra ma/qhsij ed a)na/mnhsij, sono ora rivolte le cure di Maurizio Grimaldi, il quale, nel
lodevole sforzo di avvicinare al pubblico italiano uno specimen mirato della
produzione di Massimo di Tiro, finora del tutto sconosciuto al grande pubblico, prosegue
in un cammino lento, intrapreso in Italia nel 1997 da A. Filippo Scognamillo con ledizione critica tradotta e commentata
della diss. 18 (Larte erotica di Socrate, Lecce: Congedo Ed.).
Attualmente si dispone, dopo la storica edizione
teubneriana di H. Hobein (Leipzig 1910), di due pregevoli edizioni critiche delle orazioni
di Massimo, una a cura di M. B. Trapp (Leipzig 1994), al quale si deve anche la traduzione
in lingua inglese dellintero corpus (Oxford 1997), e laltra di G. L.
Koniaris (Berlin-New York 1995), il che porta a non dover riesaminare la Textüberlieferung
massimiana: ci troviamo dinanzi ad un testo filologicamente affidabile e quasi definitivo.
Ciò che invece appare più urgente, almeno per lItalia, è predisporre una
traduzione completa dei discorsi di Massimo, inquadrando correttamente lo scrittore
nellambito della retorica del II secolo. Se in questo la Filippo Scognamillo è
riuscita in maniera soddisfacente, il contributo del Grimaldi appare davvero al di sotto
delle attese.
Lo studioso mostra, infatti, quasi un interesse
esclusivo per le implicazioni filosofiche delle due dissertationes prese in esame,
mostrando nel commento un buona padronanza delle fonti antiche, che lo portano a collocare
egregiamente la figura di Massimo nellambito del dibattito scolastico di età
imperiale sui temi correnti della filosofia popolare. Non si può certo pretendere da
Massimo spessore filosofico o capacità speculative originali: la novità
dellapproccio dello scrittore sta forse solo nellabilità della composizione
dei suoi discorsi e nella forza delle argomentazioni, che, ad es., nel dibattito su poesia
e filosofia della diss. 4, tentando di conciliare le due opposte posizioni sul
valore delluno e dellaltro messaggio comunicazionale, porta a presentare la
filosofia come una poesia più recente, con in meno la qualità dellarmonia ritmica
e della capacità figurativa del mito [44-45].
In realtà, dopo una rapidissima ,Introduzione
[11-24], in cui il Grimaldi sintetizza in maniera eccessivamente rapida e sommaria le
acquisizioni della critica sul valore e la forma delle dissertazioni di Massimo, il
commento non enuclea in maniera esaustiva e sistematica le caratteristiche della tecnica
compositiva ed argomentativa del retore di Tiro e le affermazioni dello studioso restano
sul vago e sul generico. I rari accenni agli aspetti linguistici e stilistici che
ricorrono talora nella stessa introduzione e in alcuni passi del commento non sono affatto
soddisfacenti ed indicativi dellarte di Massimo, risultando praticamente presenti i
tutti gli scrittori dellepoca[1]. Al confronto, lesame
condotto dalla Filippo Scognamillo sulla diss. 18 risulta di gran lunga superiore e
ben condotto.
Ma il volumetto del Grimaldi fa soffrire profondamente il
lettore anche per la resa in italiano del testo greco. La versione, infatti, procede
grammaticalmente corretta, ma spesse volte troppo letterale e scolastica, finendo col
cedere a soluzioni poco incisive e affatto chiare, se non talora apertamente errate. Mi
limito a riportare alcuni esempi significativi, cominciando dallincipit della
diss. 4 [27]: Gli uomini sediziosi si sono spinti con accuratezza non solo
fino alla questione dello stato e al comando assoluto e ai malanni intermedi, ma anche
alle realtà più pacifiche, la poesia e la filosofia (Deinw=j ge oi( a)/nqrwpoi stasiwtikoi\ ou) me/xri politei/aj
mo/non, ou)de\ a)rxh=j, ou)de\ tw=n e)n me/s% kakw=n, a)lla\ kai\ e)pi\ ta\ ei)rhnikw/tata
tw=n o)/ntwn proelhlu/qasin, poihtikh\n kai\ filosofi/an). Ebbene, oltre ad aver fatto dipendere erroneamente i
genitivi a)rxh=j e tw=n e)n
me/s% kakw=n direttamente da proelhlu/qasin e non da e)pi\
ta\ del terzo rigo, che si riferisce
sì a tw=n o)/ntwn ma anche a politei/aj,
a)rxh=j e tw=n e)n
me/s% kakw=n, non soddisfa per nulla la
traduzione che il Grimaldi dà di oi(
a)/nqrwpoi stasiwtikoi/ (gli
uomini sediziosi). Sedizioso in italiano è chi suscita, fomenta una sedizione, una
rivolta contro lordine costituito, ovvero vi partecipa. Nel contesto
laggettivo assume, invece, il senso di colui che dissente, ha una disparità di
vedute sugli argomenti proposti (cf. Th., 2, 20; Pl., Phdr., 263a). Il retore
intende dire: Gli individui esperti delle dispute sono arrivati ad affrontare in
maniera accurata non solo le questioni inerenti lo Stato, il comando, i mali intermedi,
bensì anche problematiche più pacifiche, la poesia, cioè, e la filosofia.
Rimanendo su questo discorso, vorrei segnalare la
cattiva resa del § 6 [33-35] che
converrà riportare quasi per intero: Dunque, i poeti, avendo compreso ciò,
trovarono per essa un rimedio nei ragionamenti divini, i miti più oscuri del
ragionamento, ma più chiari dellenigma, che stanno nel mezzo fra conoscenza e
ignoranza, hanno fiducia per la parte piacevole, sono incredibili per la parte
meravigliosa, guidano lanima alla ricerca della realtà e spiegano più oltre.
Questi uomini non ci accorgiamo che sono filosofi, mentre pensano al nostro ascolto, ma
sono chiamati poeti, poiché dànno in cambio di abbondante ricchezza arte che allieta il
popolo. Il filosofo dà un ascolto pesante e diretto a molti, come fra i poveri il ricco
una grave visione e fra i libertini il saggio e fra glimbelli il forte; poiché le
malvagità non fermano le virtù che risplendono in esse. Il poeta dà un ascolto semplice
e gradito al popolo, amato con piacere, ma non riconosciuto per la virtù (tou=to toi/nun oi/ poihtai\ katanoh/santej, e)ceu=ron
e)p ) au)t$= mhxanh\n e)n toi=j qei/oij lo/goij, mu/qouj lo/gou me\n a)faneste/rouj,
ai)ni/gmatoj de\ safeste/rouj, dia\ me/sou
o)/nta e)pisth/mhj pro\j a)/gnoian, kata\ me\n to\ h)du\ pisteuome/nouj, kata\ to\
para/docon a)pistoume/mouj, kai\ xeiragwgou=ntaj th\n yuxh\n e)pi\ to\ zhtei=n ta\ o)/nta,
kai\ diereuna=sqai peraite/rw. e)/laqon me/xri plei/stou oi( a)/ndrej ou(=toi,
e)pibouleu/santej h)mw=n tai=j a)koai=j, filo/sofoi me\n o)/ntej, poihtai\ de\
kalou/menoi, a)llaca/menoi xrh/matoj e)pifqo/nou dhmoterph= te/xnhn. o( me\n ga\r
filo/sofoj baru\ kai\ pro/santej toi=j polloi=js a)/kousma, w(j e)n pe/nhsin o( plou/sioj
qe/ama baru\ kai\ e)n akola/stoij, (sic!)
o( so/frwn kai\ e)n
deiloi=j <o(> a)risteu/j! ou) ga\r a)ne/xontai ai( ponhri/ai ta\j a)reta\j e)n
au)tai=j kallwpizome/naj! o( de\ poihth\j a)/kousma a(bro\n kai\ dh/m% fi/lon,
a)gapw/menon me\n kaq ) h)donh/n, a)gnoou/menon de\ kata\ th\n a)reth/n). Non entro nel merito di varie scelte stilistiche
e lessicali che, a mio avviso, appesantiscono notevolmente il dettato di Massimo, in
alcuni punti addirittura oscurandolo, vanno rilevati, tuttavia, almeno i seguenti errori:
1) pisteuome/nouj è passivo e va interpretato, dunque, ispirano
fiducia, godono fiducia, non hanno fiducia; 2) diareuna=sqai dipende assieme a to\ zhtei=n da e)pi\ e
non da xeiragwgou=ntaj, così come vien fuori dalla traduzione italiana,
inoltre il suo significato è indagare, ricercare, non
spiegare; 3) la frase mentre pensano al nostro ascolto non ha
alcun senso o, comunque, non rende loriginale greco, che significa mentre
insidiano le nostre tradizioni, i nostri racconti; 4) nella resa in italiano è
saltata lespressione me/xri
plei/stou; 5) a)/kousma
vale per voce, insegnamento, precetto e non
ascolto (il filosofo rappresenta una voce insopportabile ed
ostile a molti, come tra i poveri il ricco rappresenta una visione insopportabile,
ecc.); 6) pro/santej significa ostile, contrario
e non diretto (lo comprovano, del resto, gli aggettivi a(bro/n e fi/lon che descrivono la)/kousma
poetico e si contrappongono a quello del filosofo baru/ e pro/santej; 7) kaq
h(donh/n, che si trova in posizione
simmetrica rispetto al successivo kata\
th\n a)reth\n, è da intendere
per il piacere e non con piacere.
In diss. 10, 5 [94, l. 137], il Grimaldi
traduce il greco ou)kou=n h)/cei pote/ con Dunque non verrà, confondendo
chiaramente ou)kou=n (igitur, itaque) con ou)/koun (non ergo, non sane). Lavverbio pote, inoltre, saltato nella traduzione, dà un chiaro valore
indefinito, per cui la frase significa: Ebbene un giorno arriverà.
Lepilogo dellorazione, poi, offre un chiaro esempio di periodo sospeso [103],
facilitato dalla cattiva interpunzione nel testo greco e dalla mancata resa
dellavversativa de/: In quanto credo che lanima sia
compresa in una duplice vita, luna pura, splendente e non oscurata da nessuna
sventura, laltra confusa, turbata e sporcata in ogni disgrazia [meglio:
macchiata di, imbrattata di, sporca di]. (a(/te de/, oi)=mai, ditt%= bi/% h( yuxh\ sunexome/nh,t%= me\n
kaqar%= kai\ diaugei= kai\ u(po\ mhdemiaj sumfora=j e)noxloume/n%, t%= de\ qoler%= kai\
tetaragme/n% kai\ e)n pantoi/aij tu/caij furome/n% ktl.). Ancora, se il testo di p. 104, l. 256-257 recita assieme al
Parigino gr. 1962 (R): kai\
me/mnhtai me\n a)leqei/aj to/te, a)namimnh/sketai de\ e)kei/nwn, in pratica la traduzione accoglie la correzione del Trapp nu=n pro e)kei/nwn:
Allora si ricorda della verità, ora la richiama alla memoria. Gli esempi
potrebbero continuare
Piuttosto, però, a questi evidenti difetti vanno
aggiunte alcune negligenze che colpiscono la presentazione tipografica del testo e mettono
in difficoltà il lettore per la mancanza di precisione. Quanto al primo punto, segnalo
subito che nella composizione in tipografia sono evidentemente saltati il § 1 e parte del
§ 2 (in pratica le prime 29 linee del testo greco con la relativa traduzione) della diss.
10. Inoltre, va segnalato che è saltata anche la numerazione delle righe del testo greco
nelle p. 26, 30 e 90.
Un ulteriore disagio, per passare al punto
successivo, è rappresentato dal fatto che non è indicato quale testo viene stampato a
fronte della traduzione italiana e dal quale ci si allontana alloccorrenza
preferendo la lezione dei codici piuttosto che gli interventi degli studiosi. In tal
senso, non sarebbe stato inutile far precedere, se non un paragrafo sullo stato della
tradizione e delle edizioni di Massimo, almeno un conspectus con le abbreviazioni
dei nomi dei filologi e delle edizioni precedenti a quella del Reiske (Leipzig 1774-1775),
visto che nellapparato che di tanto in tanto compare a piè di pagina della sola diss.
10 compaiono i nomi di Markland, Davies e lindicazione di uneditio prior
(sic!). Del resto, neppure nel commento viene data motivazione a sostegno delle scelte
adottate e/o per chiarire il testo.
La medesima confusione colpisce, infine, le
citazioni degli autori e delle opere antiche, visto che il Grimaldi non fornisce
unindicazione delle abbreviazioni e delle edizioni utilizzate, costringendo il
lettore meno esperto a fare una vera e propria gincana fra le varie citazioni per poter
comprendere il riferimento delle varie sigle. È chiaro, però, che lo studioso preferisce
seguire per i frammenti di Eschilo la vecchia numerazione del Nauck [64] in luogo della
più recente nei TrGF a cura di S. Radt, mentre per Menandro il Retore si avvale
[15, n. 12] ancora delledizione nei Rhetores Graeci di L. Spengel (Leipzig
1853-1856) e non, come dovrebbe essere, di quella curata da D. A. Russell e N. G. Wilson
(Oxford 1981). Inoltre, lArs rhetorica di Elio Aristide è citata [64]
secondo ledizione del Dindorf (Leipzig 1829) piuttosto che secondo quella
attualmente di riferimento di B. Keil (Berlin 1899).
Il volumetto, che presenta qualche sporadico refuso[2],
si chiude con un Indice dei luoghi e di cose notevoli [146-149], un
Indice degli autori moderni [150-151], in cui la maggior parte dei rimandi non
corrispondono affatto a quelli elencati, ed una Bibliografia selettiva
[152-153], che però, oltre a risultare davvero insufficiente, per alcuni titoli appare
assolutamente ripetitiva.
[1]
Sullappellativo filosofo in età imperiale è del tutto insufficiente la
bibliografia citata a p. 12, n. 6, oltre che, nel caso del contributo di D. M. Schenkeveld
del 1997, fuorviante, trattandosi di una ricerca limitata al periodo ellenistico.
Piuttosto andavano ricordati i seguenti titoli: G. R. Stanton: Sophists and philosophers:
Problems of classification. AJPh 94, 1973,
350-364; A. La Penna: Il letterato, in: M. Vegetti (a cura di), Introduzione alle Culture
Antiche, I. Oralità Scrittura Spettacolo. Torino 1992, 139-165, in part. 160-162;
L. Pernot :
La
rhétorique de léloge dans le monde gréco-romain. II. Les valeurs. Paris
1993, 493-498; G. Anderson:
Lintellettuale e il primo impero, in: S. Settis (a cura di), I Greci. Storia Cultura
Arte Società, 2/III. Torino 1998, 1123-1146, in part. p. 1133-1135. Sulla retorica
epidittica ed il tipo particolare della dissertatio filosofica si aggiunga ora al
poco menzionato a p. 15, n. 11 almeno L. Pernot: La rhétorique dans
lAntiquité. Paris 2000, p. 261.
Ma in generale il Grimaldi mostra di non conoscere affatto i risultati della moderna
ricerca nel campo della retorica di età imperiale. Assolutamente mortificante è, ad
esempio, lo scarsissimo rilievo dato al già citato L. Pernot, La rhétorique de léloge dans
le monde gréco-romain, richiamato in maniera incompleta e solo in un caso [21, n. 32]. Sulla prassi declamatoria nella Seconda Sofistica si
tenga presente, inoltre, tra il molto a disposizione, ugualmente sconosciuto al Grimaldi,
il seguente contributo: S. Swain: La conferenza, nuovamente in: S. Settis, I Greci,
1183-1198. Ancora: limportante volume su Lucien écrivain del Bompaire citato a p.
18, n. 19 è ora disponibile in seconda edizione (Paris-Torino 2000), mentre sullo iato in
Elio Aristide [24 e n. 39] andava aggiunto almeno L. Pernot: Les Discours Siciliens
dAelius Aristide (Or. 5-6). Etude Littéraire et Paléographique. Edition et
Traduction. Salem 19922, 44-46.Del resto, è notorio che la norma di evitare lo
iato non è rigidamente applicata da molti scrittori della Seconda Sofistica: vedi, e.g.,
W. Schmid, Der Attizismus in seinen Hauptvertretern,I, 168, 260-404; II, 95, 248-250; III,
292-93, da integrare con i numerosi studi relativi alle singole personalità. Quanto,
infine, al raffronto proposto a p. 16 tra Massimo, Dione di Prusa ed Elio Aristide,
risulta curioso che lo studioso abbia del tutto dimenticato linfluenza esercitata da
Favorino dArles sul Tirio, che, secondo il Barigazzi (Favorino di Arelate. Opere,
Firenze 1966, passim), sarebbe molto forte.
[2]
Noto solo i seguenti: 14, n. 10: leggere Dio e non Dion; 20, n. 24:
ledizione di A. Pignani è del 1984; 151, l. 4: leggere ,G. Scarpat al posto
di ,L. Scarpat; 152, l. 4: leggere ,dalla al posto di ,della; l. 8:
manca lestensione della voce relativa a Massimo Tirio nella RE.