Dion von Prusa, )Olumpiko\j h)\ peri\ th=j prw/thj tou= qeou= e)nnoi/aj – Olympische Rede oder über die erste Erkenntnis Gottes, eingeleitet, übersetzt und interpretiert von Hans-Josef Klauck, mit einem archäologischen Beitrag von Balbina Bäbler. Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft 2000 (Sapere. Scripta Antiquitatis Posterioris ad Ethicam Religionemque pertinentia.  Schriften der späteren Antike zu ethischen und religiösen Fragen, Bd. II), 250 S. Euro 21,50. ISBN 3-534-14947-5.

 

Dione di Prusa, Olimpico (Or. XII), introduzione, testo, traduzione e  note a cura di Claudio Naddeo. Salerno: Palladio Editrice 1998, 134 p. Lire 25.000.

 

 

Il Revival di studi dionei, al quale stiamo assistendo in questi ultimi anni, è davvero rilevante per numero e, talora, per qualità delle pubblicazioni;[1] il che è sicuramente di buon auspicio in vista di una futura e complessiva nuova edizione critica dell’intero corpus dei discorsi del retore di Prusa, la cui edizione di riferimento resta, com’è ben noto, quella del von Arnim (Berlin 1893-1896). Mentre, tuttavia, gli studiosi ed i lettori anglofoni, spagnoli e tedeschi hanno la possibilità di fruire di una moderna traduzione di questo importante documento storico e letterario della Seconda Sofistica,[2] in Italia (come, ad es., anche in Francia) si sente la mancanza di una versione completa dell’intera raccolta, che sarebbe la prima in assoluto.[3] Non che manchino traduzioni di vari pezzi, ma su alcune di esse è legittimo nutrire sani dubbi[4] ed inoltre si tratta pur sempre di poca cosa in rapporto al corpus nella sua completezza. In Italia, comunque, dove molti sforzi si stanno concretizzando, soprattutto in campo filologico e nello studio della tradizione del testo, mi permetto di affermare che un piano editoriale a livello nazionale produrrebbe dei risultati certamente più proficui.

La selezione bizantina, operata durante i secoli VI-X, ci ha permesso di leggere sotto il nome di Dione Crisostomo un corpus di ottanta orazioni, di differente lunghezza e stile, tra le quali discorsi realmente pronunciati, esercizi retorici, brevi trattati etici, scritti letterari e anche un’epistola (or. 18), inviata forse a Nerva. Tra tutti i pezzi della raccolta, quello che ha goduto, assieme a pochi altri, di una certa fama resta senza dubbio il XII (Olimpico ovvero della prima intuizione del divino), „il più bel pezzo, il solo al quale è sempre gradito ritornare“, come ebbe a sottoscrivere finanche il Wilamowitz (in: Hermes 63, 1928, 382), tanto da meritare già nel 1840 le attenzioni particolari di uno noto specialista dioneo (J. Geel), il quale ne pubblicò a Leida un’importante edizione critica commentata, punto di riferimento per le successive generazioni di studiosi del testo del retore di Prusa.[5]

Ebbene, dopo le cure del Geel, e dopo essere stato riproposto nelle edizioni dionee dell’Emperius (Braunschweig 1844), del Dindorf (Leipzig 1857), dell’Arnim, del de Budé (Leipzig 1916) e del Cohoon, nel 1992 Donald A. Russell, benemerito studioso di retorica antica, convinto dell’importanza del discorso all’interno della produzione dionea, ne aveva fornito una nuova edizione critica commentata (senza traduzione[6]), assieme all’Euboico (or. 7) e al Boristenitico (or. 36), nella serie dei ,Cambridge Greek and Latin Classics – Imperial Library‘; un contributo, invero, che, pur non essendo basato sulla ricollazione dei testimoni manoscritti e, dunque, su uno studio della tradizione dionea, risulta difficilmente trascurabile per i numerosi apporti critici ed esegetici (in particolare per ciò che riguarda la constitutio textus). Lo dimostra bene Hans-Josef Klauck, attualmente professore di Letteratura cristiana antica e neotestamentaria alla Divinity School dell’Università di Chicago, il quale con il suo volume sull’Olimpico di Dione, il secondo della giovane collana darmstadense ,Sapere‘ – collana che si propone di pubblicare scritti dell’antichità greco-latina dei secoli I-IV d.C. che affrontino rilevanti problematiche etico-religiose[7] – oltre a non trascurare il lavoro del predecessore, tiene debitamente conto delle proposte ecdotiche ed interpretative dello studioso inglese ogni qual volta avanza personali interpretazioni del testo. Non è, purtroppo, così per la traduzione italiana di Claudio Naddeo, ordinario di Latino e Greco al Liceo Classico di Amalfi (Salerno), che a distanza di ben sei anni dalla discussione della sua tesi di laurea nell’Università degli Studi di Salerno (relatore Luigi Torraca), ripropone – si legge nella „Prefazione“– „integralmente, salve qualche lieve ritocco formale“ [9] il testo allora presentato dove, ovviamente, non si poteva tenere conto del libro del Russell. Una decisione, invero, ora quanto mai incomprensibile, oltre che discutibilissima dal punto di vista della ricerca, che già preannuncia il valore del volume. In effetti, il libro, seppure utile al lettore italiano, poiché rappresenta in assoluto la prima traduzione nella nostra lingua del prezioso discorso di Dione, non supera per nulla il valore di una tesi di laurea affatto originale e critica, infarcita di mende di vario genere, che denotano una mediocre institutio filologica e linguistica, ricca di informazioni di seconda o peggio ancora di terza mano, oltre che sorretta da una bibliografia sommaria, imprecisa ed incompleta: di tutto ciò sarebbe improponibile proporne neppure uno specimen.

L’ „Introduzione“ [13-32], dalle finalità chiaramente divulgative, dopo un breve profilo biografico di Dione e della sua attività letteraria, è dedicata all’interpretazione generale dello scritto di Dione con l’individuazione delle quattro fasi in cui si manifesta il ‘divino’, in particolare quella relativa all’arte plastica e di quanti si fanno in certo qual modo imitatori della natura divina sia con la scultura che con la pittura, che investe la personalità di Fidia, introdotto direttamente a parlare dal retore per dare maggiore sostegno alle sue argomentazioni, e il suo capolavoro indiscusso rappresentato dalla statua crisoelefantina dello Zeus di Olimpia, che per l’autore costituirebbe una novità del pensiero dell’autore sulla totale adesione alle concezioni religiose dello Stoicismo (in testa fra tutti i sistemi di Panezio e Posidonio) perseguita nella prima parte del discorso. Segue, quindi, una sintetica „Nota bibliografica“ [35-41], in cui l’autore, oltre a tratteggiare per ampie linee la storia della tradizione manoscritta del corpus di Dione, fornisce un elenco incompleto delle edizioni e traduzioni. Dopo la „Nota al testo e alla traduzione“ [43] ed il „Sommario“ [45-48] con il contenuto dello scritto, si ha finalmente il testo greco e la traduzione [50-105]. Il testo stampato è chiaramente quello dell’Arnim, rimaneggiato, però, all’occasione quasi sempre per difendere la lezione dei manoscritti: l’autore si pone in un’aperta linea ‘neostoricistica’. È, forse, questo l’aspetto migliore del libro, anche se, talora, l’aprioristico rispetto della tradizione giunge ad un vero e proprio culto della corruttela. Va segnalata, in ogni caso, la difesa – pur con gli evidenti pasticci nel testo greco – di )Hlei=oi kai\ h( su/mpasa (§ 85) contro gli interventi degli editori. Vari, comunque, sono i refusi e gli errori di trascrizione nel testo. Quanto alla traduzione, lo ripeto, se è vero che essa rappresenta in assoluto il primo tentativo in italiano, va detto che si tratta in ogni caso di un ‘esperimento’: la versione scorre letteralmente scolastica, ora ‘impreziosita’ da qualche flosculus letterario, ora eccessivamente affettata oppure, al contrario, indebolita da una stentata resa in italiano, frutto di una errata comprensione dell’originale. Le „Note“ [109-127] hanno un carattere decisamente informativo, risultando, anzi, alle volte davvero eccessivamente elementari e/o ridondanti; né servono a chiarire le numerose difficoltà esegetiche del discorso. Il volume si chiude, infine, con un „Indice dei nomi“ [131-132] ed un „Indice degli autori antichi“ [133]. Il giudizio complessivo sul valore dell’opera non può, dunque, che essere di generale e profonda insoddisfazione.  Resta il rammarico di aver mancato un’occasione preziosa: si poteva e si deve fare di meglio!

Chiarezza, leggibilità, competenza, novità di approccio e precisione sono, invece, le caratteristiche principali del volume del Klauck, che, pur a solo otto anni dall’edizione del Russell, riesce comunque ad offrire ai lettori di Dione un nuovo contributo soprattutto per ciò che riguarda l’interpretazione generale dello scritto, alla luce sia delle problematiche religiose e di culto antico che dello statuto della retorica di età imperiale. Non si tratta, dunque, di un’edizione critica dell’importante testo dioneo, il cui Nachleben è più ricco dell’opera di qualsiasi altro scrittore moralista del suo tempo, bensì di un sagace tentativo di rilettura da parte di un esperto di pratiche di culto e di esegesi neotestamentaria. Ciò rientra, del resto, negli intenti e nei meriti della giovane collana ,Sapere‘, nella quale specialisti di diversi ambiti cooperano attorno ad uno medesimo testo al fine di chiarirne i vari aspetti. Non è il caso del nostro libro, in quanto esso è praticamente opera del solo Klauck, fatta eccezione per l’interpretazione e la ricostruzione finale dello Zeus di Olimpia, affidata all’archeologa classica Balbina Bäbler.

Nell’ „Introduzione“ [9-30], il Klauck, senza pretese di novità, fornisce un rapido, ma attento ed aggiornato quadro relativo alle vicende biografiche (gli inizi, l’esilio, la maturità), all’attività letteraria (opere perdute e frammentarie, i discorsi) ed alla tradizione manoscritta di Dione, ricordando, ad esempio, come non tutti i pezzi inseriti nel corpus vadano in realtà attribuiti a Dione: tra questi le due orazioni di Favorino (or. 37 e 64), il primo discorso De fortuna (or. 63), il secondo Melancomas (or. 29) ed il Caridemo (or. 30). In quest’ultimo caso, visto che la problematica è tuttora aperta, non sarebbe, forse, stato inutile richiamare la recente edizione della Menchelli, la quale, ad esempio, attribuisce il discorso a Dione. Così per l’or. 63 la falsa paternità dionea è chiaramente dimostrata in un mio lavoro sconosciuto al Klauck[8]. Per i due discorsi di Favorino, infine, la cui attribuzione a Dione venne messa in dubbio già dal Geel e dall’Emperius, andava ricordata almeno l’edizione favoriniana del 1966 a cura di A. Barigazzi. Quanto all’esilio di Dione, nuovi dati emergono dall’introduzione di A. Verrengia alla propria edizione critica dell’or. 13,[9] chiaramente sfuggita allo studioso tedesco. Benché, infine, come dicevo, il Klauck non si proponga di dare un’edizione critica dell’Olimpico, l’utile sintesi relativa alla tradizione manoscritta del corpus dioneo non tiene conto di recenti ed importanti interventi, che hanno, in parte, modificato le conclusioni del von Arnim e del Sonny, contribuendo, altresì, ad una più precisa datazione dei testimoni primari e del loro ruolo all’interno della Textüberlieferung.[10] Le conseguenze di queste negligenze sono immaginabili. Le pagine che seguono dell’ „Introduzione“ sono dedicate brevemente al problema della datazione del discorso (la critica è da sempre divisa tra il 97 ed il 105 d.C.), risolto, per così dire, ‘agnosticamente’ dal Klauck – che lo ritiene irrilevante ai fini della comprensione del testo, propendendo, comunque, per la seconda data[11] – e alla sua struttura formale (vengono individuate all’interno del discorso, a mio giudizio troppo semplicisticamente, cinque sezioni: prolaliá [§§ 1-15], exordium [§§ 16-20], narratio [§§ 21-26], argumentatio [§§ 27-83], peroratio [§§ 84-85][12]). Particolarmente complessa appare l’articolazione dell’argumentatio consacrata alla predisposizione e alla realizzazione della synkrisis, divisa, a sua volta, in cinque sotto-sezioni legate alle fasi dell’epifania umana del divino.

La „Bibliografia“ [31-43], ordinata, ampia e precisa (sono segnalati alcuni studi difficilmente reperibili o poco noti: ad. es., il Programm del 1895 di C. Ehemann, le Bemerkungen del 1909 di A. Derganc e la dissertatio del 1979 di M. Mortenthaler), dimentica alcuni titoli pertinenti: credo sia da lamentare l’assenza della traduzione italiana del Naddeo, da tener presente, in ogni caso, per le note testuali, così come la versione spagnola annotata di del Cerro Calderón e quella latina di Thomas Naogeorgus – pubblicata inizialmente nel 1555 a Basilea, quindi a Venezia nel 1585, per poi essere riproposta, debitamente rivista, dal Morel nella sua edizione dionea (Lutetiae 1604) – ma entrambe ignorate.[13] Esiste anche una versione in danese di Henrik Haarløv (Dion Chrysostomos, Fra bjergene og helligdommen, Copenaghen 1990), sfuggita all’autore. I rapporti e la novità dionea rispetto allo stoicismo tradizionale sono indicati da M. Pohlenz, La Stoa. Storia di un movimento spirituale, trad. it. Firenze 1978, I, 481 n. 80; II, 186-187. Il nesso poesia-creazione artistica è stato, invece, studiato, tra gli altri, da H. Schwabl, Dichtung und bildende Kunst. Zum Olympikos des Dion Chrysostomos, in: Archaiognosia 4, 1985-1986 [1989], 59-75,[14] con cui è correlato il problema dei discussi influssi del testo di Dione sulla visione artistica di Lessing, studiati, tra gli altri, da D. T. Benediktson, Lessing, Plutarch ‘De Gloria Athenienium’ 3 and Dio Chrysostom Oratio 12,70, in: QUCC n.s. 27, 1987, 101-105, del tutto taciuto nel libro. Un’ulteriore questione è rappresentata dalle influenze reali o presunte che l’Olimpico ebbe su Michelangelo come chiarisce D. Summers, Michelangelo and the language of art, Princeton 1981, 273 e 487 n. 26, nuovamente sconosciuto all’autore. Personalmente, poi, ho dedicato di recente alcune note critiche a questo discorso,[15] recepite dal Naddeo, fornendo al contempo una nuova esegesi dei §§ 29-31,[16] che, purtroppo, il Klauck non conosce.

Arriviamo così al testo e alla traduzione [44-107], entrambi sorretti dal ricco apparato esegetico di „Note“ [108-159], ben 430, ma essenziali ed efficaci, che  non appesantiscono certamente la tenuta complessiva del volume; anzi, chiariscono in diversi punti i riferimenti storico-culturali presenti in tutto il discorso e le difficoltà più rilevanti (in verità non poche) inerenti al testo greco; testo che, come lo studioso chiarisce nella „Textgestaltung“ di p. 30, riproduce, in buona sostanza, quello base dell’Arnim, criticamente confrontato con le edizioni precedenti e successive. In questo caso, non si capisce, però, come mai il Klauck abbia deciso di non ispezionare (né menzionare) le edizioni anteriori a quella del Geel[17] né perché, tra le edizioni successive, abbia omesso la teubneriana del Dindorf (Leipzig 1857), ricca di interventi e congetture, benché sprovvista di apparati. Se il testo greco, che Klauck ‘scarica’ dal noto Thesaurus Linguae Graecae (CD Rom #) del Packard Humanities Institute dell’Università della California, non presenta refusi né sbavature da segnalare, è, però, un fastidioso colpo all’occhio l’  (Olumpiko/j con spirito aspro del titolo [44]. [18]

Quanto alla traduzione, si presenta corretta, elegante e precisa. Tuttavia, mi permetto di rilevare, pur non essendo un lettore di madrelingua tedesca, che la versione del Klauck, il quale, come ho ricordato, ha la possibilità di confrontare per sé i lavori di ben tre predecessori, appare, al paragone, ad es., di quella di H. Stich, meno incisiva e più letterale. Si prenda come esemplificazione l’incipit del discorso che Stich rende così: „Versammelte Männer! So soll mir denn hier bei Euch wie anderwärts das Seltsame und Ungereimte widerfahren, was, wie man sagt, der Eule begegnet?“. Al contrario, Klauck traduce: „Sollte mir, ihr Männer, tatsächlich auch bei euch – wie zuvor schon bei vielen anderen Gelegenheiten – das wunderliche und befremdliche Schicksal der Eule widerfahren sein?“.

La parte più originale del contributo è sicuramente l’ „Interpretazione“, dedicata alla Gestalt retorica e letteraria del discorso [160-186] ed ai suoi aspetti religiosi, filosofici e teologici [186-216]. Anzitutto, andrà segnalato che il Klauck fa precedere ad ogni paragrafo un’utile bibliografia di servizio, talora incompleta, ma essenziale[19]. Nella prima parte, l’autore inquadra il discorso nel genere epidittico, instaurando, però, opportuni confronti con alcuni esempi di inni in prosa offerti dalla letteratura contemporanea (in particolar modo Elio Aristide) ed individuando nella favola del pavone e della civetta dei paragrafi iniziali una chiaro esempio di prolaliá. Su tale strada, vengono in seguito indicati i punti in cui Dione, conformemente ai procedimenti retorici a lui cari anche in altri discorsi (i paralleli sono debitamente elencati), adotta la synkrisis e una triplice prosôpopoiia, per finire con l’uso strumentale delle citazioni e gli effetti stilistici dell’orazione. Le conclusioni cui lo studioso perviene, da condividere pienamente, sono le seguenti: „Dions Olympikos ist eine epideiktische Rede, die sich stellenweise einem Prosarhymnus annähert, mit einer zur Einführung vorausgeschickten Prolalia, mit Synkrisis, dreifacher Prosopopoiie und Dichterzitaten als tragenden Gestaltungsmitteln und mit kunstvoll durchgeführter elocutio, bei insgesamt mittlerer, teils gemischter Stillage“ [186]. Quanto al secondo punto, attraverso un accurato ed approfondito esame del testo e dei suoi numerosi termini technici, il Klauck riesce a ricostruire l’importanza dell’Olimpico nella tradizione filosofica e teologica greca, ma soprattutto nella pratica cultuale e rituale di età imperiale. Così, lo studioso, oltre ad offrire un’attenta interpretazione del discorso alla luce della dottrina stoica del tempo (con particolare riferimento alla teoria della Theologia tripertita e alla problematica ortodossia dionea), attraverso lo studio dei termini afferenti all’area del divino (quali qeo/j, qeoi/, to\ qei=on, ta\ qei=a, to\ daimo/nion), si domanda in che rapporto sia la concezione provvidenzialistica dello stoicismo imperiale con le dottrine monoteistiche del Cristianesimo, dell’Islam e del Giudaismo ormai diffuse per l’impero, ma anche quale sia il grado di ricezione della dottrina teologica stoica da parte di Dione. Si tratta di un problema spinoso che investe non solo la personalità dionea, ma, come è ben noto, quella di molti scrittori contemporanei, soprattutto in considerazione del fatto che secondo qualcuno Dione sarebbe stato l’editore finale del Nuovo Testamento.[20] Infine, il Klauck analizza i diversi termini con cui Dione richiama l’attenzione dell’uditorio sulla statua di culto di Zeus (a)ndria/j, co/anon, a)/galma, ei)/dwlon, ei)kw/n, su/mbolon), inserendola proficuamente nel dibattito della pratica rituale greca.[21]

Come dicevo sopra, a Balbina Bäbler si deve il capitolo finale su Lo Zeus di Olimpia [217-238]. In esso, senza apportare novità di grosso rilievo, l’autrice, dopo una breve „Introduzione“ [217-219] in cui vengono fornite notizie relative al sito archeologico di Olimpia e alla fondazione del tempio dedicato a Zeus, passa ad esaminare, attraverso il vaglio delle fonti antiche e moderne, la rappresentazione plastica dello Zeus di Fidia che secondo la tradizione doveva trovarsi proprio all’interno della cella del tempio olimpico e per la tecnica usata rappresentava di sicuro l’opera più importante dello scultore ateniese (assieme alla statua di Atena del Partenone) considerata dai contemporanei come una delle sette meraviglie del mondo. Il contributo della Bäbler rappresenta un ottimo e aggiornato status quaestionis, dove vengono offerti dati relativi al recinto del tempio [220s.], alla base, al trono e alla pedana della statua [221-223] con le sue dimensioni [225s.] e, in particolare, alla tecnica impiegata da Fidia[22] [226-229] e alla datazione del manufatto artistico [229-232]. Inoltre, la studiosa ricostruisce utilmente le tappe della ricezione e l’influenza del capolavoro fidiaco sulla statuaria antica [232-236], il suo destino in età tardo-antica [236-238] e la fama del discorso di Dione tra i teorici dell’arte moderna[23].

Il volume si chiude con un „Indice dei luoghi“ citati [239-242]  – in realtà una scelta – ed un „Indice dei nomi e dei termini“ [243-250].

 

Eugenio Amato, Salerno (Italia)

eugeamat@virgilio.it

 

 



[1] Per gli ultimi anni segnalo, in ordine di tempo, le edizioni con introduzione, traduzione e commento del Diogene ovvero sulla tirannide (or. 6) a cura di G. Krapinger (Graz 1996), del primo discorso Sulla fortuna (or. 63) [in realtà Pseudo-Dione Crisostomo] a cura di E. Amato (Salerno 1998), del Caridemo (or. 30) a cura di M. Menchelli (Napoli 1999), del discorso In Atene, sull’esilio (or. 13) a cura di A. Verrengia (Napoli 1999), del discorso Su Eschilo, Sofocle ed Euripide ovvero sull’arco di Filottete (or. 52) e del Filottete (or. 59) a cura di C. W. Müller (Euripides, Philoktet. Testimonien und Fragmente, hrsg., übersetzt und kommentiert. Berlin 2000). La tradizione manoscritta è stata studiata di recente da E. Amato, Alle origini del «corpus Dioneum»: per un riesame della tradizione manoscritta di Dione di Prusa attraverso le orazioni di Favorino, Salerno 1999, su cui vedi S. Ferrando, Maia n. s. 53, 2, 2001, 488-491. La personalità di Dione è stata, invece, oggetto di un interessante volume collettaneo messo insieme da S. Swain (ed.), Dio Chrysostom. Politics, Letters and Philosophy,  Oxford 2000.

[2] In lingua inglese è sempre disponibile la traduzione completa, in cinque volumi, a cura di J. W. Cohoon e H. L. Crosby nella ,Loeb Classical Library‘ (1932-1951); in spagnolo è stata da poco completata, in quattro volumi, nella ,Biblioteca Clásica Gredos‘ la versione iniziata da G. Morocho Gayo ed ultimata da G. del Cerro Calderón (1988-2000), su cui vedi E. Amato, in: BMCRev, 05/2002, nr. 39; in tedesco una versione annotata, ormai, però, fuori catalogo, è quella di W. Elliger (Zürich - Stuttgart 1967), che completa la traduzione relativa ai soli discorsi 1-40 di K. Kraut, apparsa una prima volta e in più tomi a Ulm nel 1899 per poi essere riprodotta in volume unico nel 1901 (non sono ancora riuscito a vederla). Esistono, poi, diverse versioni di singole orazioni che non comprendono l’Olimpico (avverto, però, che non conosco il contenuto delle traduzioni tedesche proposte da E. C. Reiske, in: Hellas 1, 1778, 1-100 e della scelta in inglese di G. Wakefield, Select Essays of Dio Chrysostomus, London 1800).

[3] Ricordo per l’Italia la traduzione del Sul regno (or. 4) a cura di D. Ferrante (Napoli 1975), del Diogene ovvero sugli schiavi (or. 10) e dei due Sulla schiavitù e libertà (orr. 14-15) a cura di L. Gallinari (Cassino 1978), del Sulla virtù (or. 8) e del Diogene ovvero discorso istmico (or. 9) entrambi a cura di M. Capone Ciollaro (Napoli 1983 e 1987), dell’Euboico (or. 7) a cura di E. Avezzù (Venezia 1985) e, infine, del Corinziaco (or. 37) e del secondo Sulla fortuna (or. 64) [in realtà Favorino di Arles] a cura di E. Amato (Studi su Favorino. Le orazioni pseudo-crisostomiche, Salerno 1995, 111-138). La situazione per i lettori di lingua francese non è più florida: in effetti, oltre l’importante traduzione di M. Cuvigny dei discorsi 38-51 (Paris 1994), bisogna ricorrere, per singole versioni, a quelle approntate da G. de Budé (Discours XL prononcé dans sa patrie, Corbeil 1927; Epitre à un inconnu sur la formation oratoire, Carouge 1948; Les discours de Célène, Carouge 1955), se non proprio alla traduzione dell’or. 62 fornita da Frédéric Morel (Paris 1589).

[4] In particolare, sui gravi limiti dell’edizione e della traduzione della Menchelli, cf. E. Amato, Il futuro di Dione Crisostomo: in margine ad una recente edizione, in: E. A., A. Capo, D. Viscido (a cura di), Weimar, le Letterature Classiche e l’Europa del 2000. Atti delle giornate di studio. Liceo-Ginnasio Statale “F. De Sanctis” di Salerno. 27 sett. 1999 - 31 genn. 2000, Salerno 2000, 277-307, in part. 293-295.

[5] Geel è stato il primo ad utilizzare criticamente il Leidensis B.P. gr. 2 C (da lui stesso acquistato da G. Meermann e siglato M), manoscritto rilevante nella tradizione della cosiddetta ‘prima classe’ dell’Arnim (‘seconda’ nella monografia specifica di A. Sonny, Ad Dionem Chrysostomum analecta, Kioviae 1896), e altri codici, le cui sigle in uso risalgono ancora alla sua edizione. Le collazioni dei manoscritti non sono sempre complete, anche perché in alcuni casi effettuate da altri filologi. In ogni caso, il Geel, pur non potendo tentare una sistemazione del materiale manoscritto, ha avanzato un gran numero di congetture, che investono tutte le orazioni del corpus (dopo il testo e il commentario all’or. 12, segue una ricca Adnotatio in Dionis Chrysostomi reliquias orationes“, 125-449), contribuendo, altresì, all’individuazione di alcuni importanti falsi (ad. es. il Peri\ tu/xhj [or. 64] la cui paternità spetta a Favorino di Arelate). In precedenza l’Olimpico era stato pubblicato nella editio princeps di F. Torresano (Venezia 1551[?]) e nelle edizioni di F. Morel (Parigi 1604), di J. J. Reiske (Leipzig 17982) e di N. Dukas (Vienna 1810).

[6] Le traduzioni moderne dell’Olimpico non sono numerose. Alle versioni segnalate sopra (Cohoon, del Cerro Calderón, Kraut, Elliger), va aggiunta quella tedesca di H. Stich (Zweibrücken 1890), utilizzata dal Klauck, una cui riproduzione on-line (limitata ai §§ 1-85) si può leggere all’indirizzo:
www.gottwein.de/Grie/dion/chrys12_01.htm.

[7] La collana è stata inaugurata contemporaneamente con il De latenter vivendo di Plutarco e prosegue con Gli amanti della menzogna di Luciano (2001), già recensito in questa rivista (4, 2002, 1-10; indirizzo elettronico http://www.plekos.uni-muenchen.de/2002/rebner.html o ...pdf) da Peter von Möllendorff, e la Vita pitagorica di Giamblico (2002). In catalogo è annunciato il Boristenitico di Dione. Il progetto editoriale è direttamente visionabile al seguente indirizzo elettronico:
www.uni-bayreuth.de/departments/ev_theologie3/SAPERE.htm.

[8] Cf. Amato 1998 [n. 1]: su di esso vedi V. Boudon, in: REG 111, 1998, 796-797; C. Bevegni, in: Maia n.s. 51, 1999, 295-297; J. Martínez de Tejada Garaizábal, in: Emerita 68, 2000, 333-336.

[9] Cf. Verrengia 1999 [n. 1], 66-91.

[10] Cf. Amato 1999 [n. 1], in cui confluiscono, ampiamente riprospettati e aggiornati, due lavori apparsi in: Latinitas 34, 1996, 7-31 e in: RHT 30, 2000, 93-108. Vedi, inoltre, M. Menchelli, Su alcuni recenziori di Dione di Prusa (le copie di Giovanni Mauromate), in: SCO 44, 1994, 109-133 e, soprattutto, A. Verrengia, Nuove acquisizioni sulla tradizione manoscritta di Dione di Prusa, in: Eikasmos 8, 1997, 141-155 e Note ai codici ‘integri’ della prima famiglia di Dione di Prusa, in: SCO 46, 1998, 891-902, del quale il Klauck conosce solo il primo contributo. Gli studi del Verrengia sono stati, poi, utilizzati dallo studioso nell’ „Introduzione“ (9-65) alla propria edizione dell’or. 13, mentre la Menchelli ha dedicato ampio spazio alla tradizione dionea nelle pagine 93-133 della sua „Introduzione“ al Caridemo. Sul valore dei prolegomeni della Menchelli (ma anche sull’edizione del Verrengia), vedi, quindi, Amato 2000 [n. 4].

[11] Dello stesso parere è Naddeo, 29.

[12] Trovo più condivisibile l’analisi strutturale del discorso che fa Russell 1992, 16-19. Si ricordi che una breve analisi dello scritto dioneo si leggeva anche in G. A. Kennedy, The art of rhetoric in the Roman world, Princeton 1972, 575-578.

[13] Nella sezione bibliografica relativa alle traduzioni dell’Olimpico manca anche quella inglese del Cohoon, di cui è riportata l’edizione nella ,Loeb‘.

[14] Un versione si legge nei Praktika/ tou XII dieqnou=s sinedri/ou klasikh=s arkaiologi/as (Aqh/na 4-10 septembri/ou 1983), Aqh/na1988, 259-265.

[15] Cf. E. Amato, Disiecta membra (Nota a Vita Chisiana 11s. Colonna e altre noterelle dionee), in: E. A., G. Lazzaro, D. Viscido (a cura di), Shmei=on Xa/ritoj. Scritti e memorie offerti al Liceo Classico «F. De Sanctis» in occasione del XXXV anniversario della fondazione, Salerno 1998, 67-70, recensito da L. Bruno, in: RSS 32, 1998, 54-56 e da R. Fusco, in: Latinitas 47, 1999, 287-288.

[16] Cf. E. Amato, Un aspetto della polemica antiepicurea in età imperiale: Dione Crisostomo, Lucrezio e la teoria della generazione spontanea, Salerno 1999. Su di esso vedi almeno J. Martínez de Tejada Garaizábal, in: Emerita 69, 2001, 182-184.

[17] Le „Anmerkungen“ contengono, tuttavia, rimandi ad editori e studiosi dionei, quali il Reiske [66] ed il Casaubon [149], senza chiarirne la provenienza.

[18] Nelle note si registrano  a)/ll ) [108] in luogo di a)ll ) [115] e   /)Indika al posto di   )Indika/.

[19] Per fare un esempio, il materiale raccolto per la sezione del discorso relativo alla prolaliá [163] dimentica A. Stock, De prolaliarum usu rhetorico, Diss. Königsberg 1911; R. B. Branham, in: TAPhA 115, 1985, 237-243; G. Anderson, in: Philologus 120, 1976, 117-122.

[20] Cf. A. F. Hallam, Concurrences between Dio Chrysostom’s First Discourse and the New Testament, North Canton (Ohio) 1985, in part. 23.

[21] Esiste, ora, su questo argomento un interessante volume di S. Bettinetti, La statua di culto nella pratica rituale greca. Prefazione di W. Burkert, Bari 2001, in part. 25-63 per il vocabolario della statua.

[22] Vedi ora l’importante contributo di K. D. S. Lapatin, Chryselephantine Statuary in the Ancient Mediterranean World, Oxford 2001.

[23] Purtroppo anche alla Bäbler è sconosciuto non solo l’articolo del Beneditkson su Lessing e Dione, ma anche il libro del Summers su Michelangelo.